IL PRETORE Visti gli atti del sopracitato procedimento contro Meo Pietro nato a Montebello Ionico il 22 agosto 1932 ivi residente imputato del reato di cui agli articoli: a) art. 20, lett. b), della legge 28 febbraio 1985, n. 47, per avere eseguito i lavori di costruzione di un capannone della sup. di 32 mq circa in assenza della concessione; b) artt. 17 e 20 della legge 2 febbraio 1974, n. 64, per avere iniziato la costruzione di cui al capo a), senza nulla osta del genio civile; c) artt. 18 e 20 della legge 2 febbraio 1974, n. 64, per avere effettuato la costruzione di cui al capo a) senza direzione tecnica di un professionista autorizzato. In Montebello Ionico l'11 maggio 1992; Vista la legge 11 marzo 1953, n. 87, ed in particolare l'art. 23, primo e secondo comma; Preso atto dell'istanza del p.m. a che sia sollevata la questione di legittimita' costituzionale dagli artt. 1, 2 e 3 del d.-l. 27 settembre 1994, n. 551, in relazione agli artt. 79 e 3 della Costituzione; Ritenuto che le prospettate questioni appaiono tutte rilevanti e non manifestamente infondate per i seguenti motivi; MOTIVI DI RILEVANZA La questione sollevata si presenta di evidente rilevanza in quanto, dall'applicazione del combinato disposto degli artt. 1 del d.-l. n. 551/1994 e 44 della legge n. 47/1985, discende la obbligatoria sospensione del procedimento, anche a prescindere da una richiesta di parte, qualora, come nel caso di specie, il reato sia stato commesso entro il 31 dicembre 1993, termine ultimo previsto dall'art. 1, primo comma, del d.-l. n. 551/1994, per l'operativita' del meccanismo del condono per i reati di cui all'art. 20 della legge n. 47/1985. Poiche' inoltre le norme di cui si eccepisce la illegittimita' costituzionale devono venire applicate dal giudice nella valutazione della sussistenza dei presupposti per l'inizio della procedura della sanatoria, ne discende logicamente la indubbia rilevanza delle norme sopra citate nel presente processo. Sul punto vale richiamare quanto gia' statuito dalla Corte costituzionale con sentenza n. 389 del 23-31 marzo 1988 in identica fattispecie, e cioe' che divengono rilevanti le questioni di costituzionalita' relative a tutte le disposizioni di legge che risultano intimamente collegate fra loro nell'unico fine di regolamentare il meccanismo procedimentale della sanatoria. Quanto poi alle norme di cui agli artt. 2 e 3 del d.-l. n. 551/1994, esse pure rilevano in quanto riguardano fasi e modalita' del procedimento di sanatoria. MOTIVI DI NON MANIFESTA INFONDATEZZA A) Violazione dell'art. 79 della Costituzione. Ritiene questo pretore che il condono edilizio possa essere qualificato giuridicamente come una misura clemenziale con la quale lo Stato rinuncia, in presenza di particolari presupposti (tempus commissi delitti, determinate caratteristiche dell'opera abusiva) ad esercitare la propria pretesa punitiva nei confronti dell'autore dell'abuso, condizionando tale rinuncia al versamento di determinati importi da parte di colui che intenda valersi della procedura di sanatoria, con conseguente declaratoria di estinzione del reato. Orbene, un istituto che presenta siffatte caratteristiche pare a questo pretore assimilabile all'amnistia: anch'essa infatti, a norma dell'art. 151 del c.p., ha un'operativita' circoscritta ai reati commessi in un determina'to periodo di tempo; essa forse puo' essere condizionata ad obblighi; infine, ha come conseguenza l'estinzione del reato. Pare comunque a questo pretore che, avendo il condono natura di provvedimento clemenziale debba essere assimilato all'amnistia almeno sotto il profilo della conformita' con la Carta costituzionale. Posto dunque tale inquadramento giuridico per l'istituto del condono edilizio, ne consegue che lo stesso non puo' essere introdotto nell'ordinamento che con legge approvata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, e non, come e' avvenuto nel caso del condono del 1994, con lo strumento della decretazione d'urgenza. E' ben vero che la Corte costituzionale, con la sopra citata sentenza n. 389 del 23-31 marzo 1988, esaminando la questione della natura giuridica del condono edilizio previsto dalla legge n. 47/1985, lo ha qualificato "provvedimento di clemenza atipico", non riconducibile all'istituto dell'amnistia ne' a quello dell'oblazione: purtuttavia, la Corte, in tale occasione si e' espressa con grande chiarezza sulla natura clemenziale dell'istituto in oggetto. Va rilevato a questo proposito che l'art. 79 della Costituzione, successivamente alle modifiche apportate dall'art. 1 della legge costituzionale 6 marzo 1992, n. 1, prevede che "l'amnistia e l'indulto sono concessi con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera in ogni suo articolo e nella votazione finale". La norma costituzionale enuncia dunque nella maniera piu' chiara che i provvedimenti clemenziali (quali sono appunto l'amnistia e l'indulto) possono essere introdotti nell'ordinamento solo con la particolare procedura in essa prevista; e poiche' la stessa Corte costituzionale ha qualificato il condono edilizio come un provvedimento clemenziale atipico, ne discende che il legislatore del 1994, ricorrendo allo strumento del decreto legge per introdurre il condono ha disatteso la previsione dell'art. 79 della Costituzione. B) Violazione dell'art. 3 della Costituzione. Ritiene questo pretore che proprio dalla lettura del citato precedente della Corte costituzionale possano ricavarsi le argomentazioni piu' pregnanti a sostegno della non conformita' alla Costituzione della normativa di cui al decreto-legge n. 551/1994 sotto il duplice profilo della irragionevolezza e della violazione del principio di uguaglianza anche in relazione agli artt. 9, secondo comma, 41, secondo e terzo comma, 42, secondo comma, della Costituzione. E' infatti la Corte costituzionale ha statuito, nella pronuncia n. 369/1988, che, ogni qualvolta lo Stato rinunci alla propria pretesa punitiva, e la punibilita' venga utilizzata per fini estranei a quelli relativi alla difesa dei beni tutelati attraverso l'incriminazione penale, tale rinuncia, venendo ad incidere sul principio di uguaglianza affermato dall'art. 3 della Costituzione, deve trovare la sua giustificazione nel quadro costituzionale che determina il fondamento nei limiti dell'intervento dello Stato": cio' al fine di non incorrere appunto nella vlolazione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione In allora, la Corte costituzionale ritenne di "salvare" la disciplina del condono edilizio, che era stata sottoposta al suo vaglio, respingendo le sollevate questioni di legittimita' costituzionale, in considerazione del fatto che era all'epoca vivamente sentita ed urgente l'esigenza di "chiudere con un passato di illegalita' di massa" in occasione dell'entrata in vigore di una nuova e articolata disciplina in materia di controllo dell'attivita' urbanistico-edilizia. La suddetta esigenza, evidenziata dalla Corte costituzionale nella pronunzia sopra citata, non pare viceversa possa essere sottesa a un provvedimento quale il d.-l. n. 551/1994, che ha semplicemente riaperto i termini del condono di cui alla legge n. 47/1985, limitandosi in pratica a reiterare una procedura per l'introduzione della quale, tuttavia, non sussistono giustificazioni analoghe a quelle individuate dalla sentenza sopra citata per il condono del 1985. La stessa Corte costituzionale, infatti, ha precisato che, ove l'estinzione della punibilita' venga irrazionalmente in contrasto con le finalita' della sanzione penale, risultando cosi' una "variante arbitraria", non potrebbe considerarsi costituzionalmente legittima. La Corte ha altresi' ribadito che la non punibilita' o la non procedibilita' dei moderni condoni penali, "specie quando essi cancellano reati lesivi di beni fondamentali della comunita', va usata negli stretti limiti consentiti dal sistema costituzionale"; viceversa, un esercizio arbitrario della non punibilita' equivarrebbe addirittura "ad alterare, con il principio dell'obbligatorieta' della pena, l'intero volto del sistema costituzionale in materia penale". Richiamandosi ancora al "rispetto dei vincoli esterni" posti dalla Costituzione al potere di clemenza, la Corte costituzionale ha, sempre nella succitata pronuncia, ritenuto che, nel caso del condono di cui alla legge n. 47/1985, tali vincoli esterni fossero stati rispettati, considerando che si era inteso porre basi normative per la futura tutela di fondamentali esigenze sottese al governo del territorio, quali la sicurezza dell'esercizio dell'iniziativa economica privata, il suo coordinamento a fini sociali (artt. 41, secondo e terzo comma, della Costituzione) la funzione sociale della proprieta' (art. 42, secondo comma) e la tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico (art. 9, secondo comma, della Costituzione). Viceversa, le ragioni poste dal legislatore del 1994 a fondamento dell'introduzione del nuovo condono edilizio (rectius, della riapertura dei termini del vecchio condono edilizio) e individuate nel "rilancio economico ed occupazionale dei lavori pubblici e dell'edilizia privata" nonche' "nella semplificazione dai procedimenti in materia urbanistico-edilizia", non sembrano in alcun modo riconducibili al "quadro costituzionale che determina il fondamento ed i limiti dell'intervento punitivo dello Stato": al contrario si deve rilevare che la normativa introdotta dal legislatore del 1994 viene ad incidere pesantemente su alcuni valori primari contenuti in postulati costituzionali quali la tutela del paesaggio, dell'ambiente, del patrimonio storico ed artistico, nonche' la funzione sociale della proprieta' e dell'iniziativa economica privata. E' inoltre di palmare evidenza che provvedimenti clemenziali di questo genere, ciclicamente riproposti, non possono che perdere la loro natura di provvedimenti eccezionali emanati per far fronte a particolari situazioni e per rispondere a specifiche esigenze di natura sociale, producendo pericolosi effetti sul piano della certezza del diritto. In particolare, per meglio evidenziare la sussistenza di molteplici possibili casi di violazione del principio di uguaglianza e di compromissione del principio della certezza del diritto che possono derivare dall'applicazione del d.-l. n. 551/1994, basti pensare, a titolo di esempio, al caso del cittadino che, per il fatto di avere commesso un abuso edilizio in territorio di comune retto da amministratori osservanti la legge, abbia visto la propria opera demolita in applicazione delle sanzioni previste dalla legge n. 47/1985 e, per contro, ad altro cittadino che, avendo abusivamente costruito in centro non amministrato con altrettanto zelo, puo' oggi sanare il proprio illecito fruendo della procedura del condono.